Triennale Design Museum porta avanti il ciclo dedicato al nuovo design
internazionale negli spazi del MINI&Triennale CreativeSet proponendo, dal 14 dicembre 2012 al 24 febbraio 2013,
un'inedita selezione dei più interessanti lavori dei designer indiani
contemporanei, a cura di Simona Romano con la collaborazione di Avnish
Mehta.
New India Designscape presenta la complessità di un
contesto, di un paesaggio, in cui prevalgono le interrelazioni e le
continue interrogazioni sul progetto più che la fissità di identità
nazionali e di figure in sé concluse, come i maestri delle generazioni
passate.
I giovani designer selezionati, permeati dalla matrice culturale
dell’India ma fortemente contaminati da altri contesti, per lo più
occidentali, attraverso i loro contributi progettuali propongono
progetti che vivono in un delicato equilibrio tra l’innovazione e la
tradizione.
Spesso sono proprio i contenuti mitici a essere riproposti, con una certa ironia, in oggetti comuni (per esempio in Mr Prick di Sandip Paul, nei Lotus pieces di Sahil and Sartak, nella Cheerharan Toilet Paper di Divya Thakur, in Cut.ok.Paste di Mira Malhotra, nella Hanuman T-shirt di Lokesh Karekar, negli abiti di Manish Arora, nelle Varanasi Cows
di Kangan Arora) a dimostrazione che l’antico e il contemporaneo, il
sacro e il profano, si mischiano in un tutto non immediatamente
decodificabile portando nel quotidiano contenuti
profondi con risvolti quasi terapeutici.
Altri oggetti partono dalla cultura materiale autoctona (ardua sfida
dal momento che gli oggetti più comuni e tradizionali dell’India hanno
un coefficiente di modernità, funzionalità, ed estetico difficilmente
superabile) o la reinterpretano innovando alcune tipologie o utilizzando alcuni oggetti comuni come dei semilavorati per crearne altri.
Negli oggetti in mostra vengono riproposti anche alcuni immaginari di
un’India meno mediatica, che espone a un confronto tra diverse realtà
sociali, a cui si guarda con un’accettazione, non rassegnazione, che
prende forma, più o meno inconscia, in altri oggetti quasi surreali come
il Bori Cycle Throne di Gunjan Gupta; e tra questi confronti
non poteva mancare una riattualizzazione post-coloniale del rapporto
India-Inghilterra.
Le esigenze concrete della vita dei villaggi di cui è fatta la maggior parte dell’India non urbana ispira invece il cosiddetto barefoot design
in cui una lavatrice a pedali e la struttura in bamboo per
il carico e il trasporto di pesi sulle spalle, fanno la differenza in termini di qualità di una vita di per
sé difficile. Ma il design si pone spesso in dialogo anche con le
raffinatissime tecniche artigianali rurali per ridisegnare gli oggetti
tradizionali (il furniture design in bamboo di Sandeep Sangaru e Andrea
Norohda, i Natural dishes di Sanders e Kandula, la bicicletta in bamboo di design anonimo) e incentivare le piccole economie locali (i Bamboo Cubes di M.P. Ranjan).
L’India urbana invece, quella tecnologica, che si caratterizza più
per lo sviluppo di processi e semilavorati che per il design, quasi
trova un alter ego artistico nei lavori di Padmaja Krishnan (Excess mobile e Wood Pc) e di Ranjit Makkuni (progettista di sofisticate installazioni interattive che ci connettono con il sacro).
L’India, anche nel design, si rivela così, difficilmente
organizzabile, classificabile, sistematizzabile, decifrabile. Convivono
progettisti che vi rimangono con l’intento di cambiare le cose, che vi tornano dopo lunghi periodi di formazione e attività
all’estero, o che lavorano lontano dalla grande madre senza mai
dimenticarla nei loro progetti.
Un paesaggio, il designscape indiano, ricco, che attraverso
le diverse articolazioni del dialogo tra modernità e tradizione, potrà
produrre nuovi contenuti per una società globale sempre in continuo
divenire, e, proprio per questo, sempre alla ricerca delle proprie
ancestrali radici.
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